Io l'ho visto così
di Daniela Centrone


Non ero uno spettatore facile per Hell in the Cave. Sono cresciuta a pane e "Comedìa" con un professore di letteratura italiana (e di vita) straordinario (che ha da poco lasciato questa vita n.d.r) che faceva risuonare quelle terzine incatenate di endecasillabi ad ogni ora di lezione usandole con rara appropriatezza per apostrofare le imprese di qualcuno di noi.

L'ho amata fino a sviscerarla con passione certosina in un esame universitario monografico, fino a considerarla una delle più raffinate e geniali intuizioni che la mente umana possa aver generato, tanto da essere oggi strumento di riflessione di stupefacente attualità.

Non ero uno spettatore facile perché la Commedia non si tocca, non si stravolge, non si interpreta liberamente. Eppure, Signori, ho trovato Hell in the Cave uno spettacolo straordinario e straordinariamente appropriato.

Straordinario nella regia, vestito di un luogo che non avrebbe potuto essere più suggestivo e che non avrebbe potuto offrire miglior risonanza alla musica della lingua volgare fiorentina. Impeccabili le scelte drammaturgiche. Intensissimi gli interventi di danza aerea, dalla commozione del canto di Paolo e Francesca al fragore di Ulisse avvolto dalle fiamme, alla dolcezza dell'eterea Beatrice che chiude lo spettacolo.

Ho la sensazione che lo stesso nostro Dante ne sarebbe stato entusiasta. Se poi rifletto sul fatto che chi mi accompagnava sia stato mosso dallo stesso entusiasmo senza conoscere a fondo il poema, arrivo a concludere che l'arte veicola la sua bellezza raggiungendo l'animo dello spettatore attento, senza barriere.

"Fatti non foste a viver come bruti ma per seguir virtute e canoscenza" (Inferno, canto ventisei)